Stefano Catalini



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BIOGRAFIA

Nasce a Mogliano Marche nel 1961. Comincia a disegnare e dipingere dall’età di 10 anni. Su consiglio dell’insegnante di Educazione artistica della scuola locale, nel 1976 si iscrive all’ISA, ne esce in anticipo nel 1979 per accedere all’Accademia di Belle Arti di Macerata, dove è allievo di Remo Brindisi, Eraldo Tomasetti, Magdalo Mussio e Armando Ginesi. Conclude gli studi nel 1983. Nel 1978 organizza la prima esposizione personale all’interno di una vecchia tipografia, l’anno successivo si appassiona alla fotografia in bianco e nero, costruisce una camera oscura in un vecchio casolare di famiglia dove dipinge da anni. Nel 1980 con tre allievi del suo corso di pittura all’Accademia, fonda il Gruppo G.E.F. Nella prima metà degli anni ottanta nascono l’interesse e la passione per la comunicazione visiva e la stampa serigrafica e litografica, settore in cui si afferma per rigore stilistico e formale, per venti anni svolge l’attività di grafico e di direttore creativo, continua silenziosamente la produzione pittorica. Nel 2009 si riaccende la passione per la stampa d’autore, incomincia una attenta produzione di incisioni calcografiche.

 

Opera Stefano Catalini

CRITICHE

Artitalia Edizioni, Varese - Roberto Perdicaro

La materia e il segno diventano gli elementi fondamentali su cui Stefano Catalini innesta la sua ricerca artistica, che si risolve in un processo comunicativo di forte e appassionata espressività. Egli realizza evocazioni paesaggistiche e rappresentative attraverso un’astrazione formale che si fa linguaggio estetico di sensibile suggestione. L’aspetto polimaterico dà corposità e crea una modulazione strutturale che si arricchisce di un cromatismo denso e concreto. Si viene a comporre un gioco di rapporti tonali e campiture di colori che determinano corrispondernze e nessi. I segni si traducono in tracce, in un’intuizione narrativa spontanea, allusiva di una realtà liberamente riletta e interpretata, con la consapevolezza di comporre un processo di tipo poetico oltre che estetico. Si realizza così una sorta di metafora naturalistica, concretizzata in immagini interiorizzate e sensibilmente risolte.

Il Convivio, Verzella - Catania - Enza Conti

Le tre opere Frammento - muro, Pseudomuro e Rosso Pompei ci fanno immergere nel-l’arte contemporanea, un linguaggio che indaga sulle espressioni emozionali e affida il ruolo principale al gesto del dipingere, un atto che osserva e stende sul piano, sia esso composto da tela o da legno, emozioni fatte di cromia. In Stefano Catalini c’é lo studio del rapporto luce-spazio con l’azione artistica che si avvale di linee e di segni, i quali attraverso un’astrazione formale creano immagini che nascono dalla presa di coscienza del presente, una complessa ricerca che trascende il fenomeno formale, in quanto l’arte nella sua interezza è ricerca creativo-estetica. In Frammento - muro l’osservatoresi immerge nella dimensione spazio/tempo; il bianco che racchiude la parte centrale dell’opera, richiama all’essenza di una nuova conoscenza, quale simbolo del mondo visibile. La ricerca dell’espressività in una ultra dimensione, difatti, si riscontra anche in Pseudomuro e Rosso Pompei, dove i grandi tratti lineari offrono un’ampia spazialità. Nelle opere di Catalini troviamo forme astratte e reminiscenze naturali, opere originali che evidenziano una forza generatrice che prende vita espressiva nel colore; il suo linguaggio si caratterizza per il modo con cui egli trasforma la superficie. La sua maniera di concepire l’arte ci rimanda ad Umberto Eco il quale afferma che “l’arte astratta dà la possibilità ad una serie di letture a seguito dei diversi momenti all’interno dell’opera” e ci lascia concludere che in Frammento - muro, Pseudomuro e Rosso Pompei non c’é staticità in quanto ogni campitura cromatica sembra seguire la traslazione filosofica del reale.

Claudio Nalli

“Non si sogna profondamente con degli oggetti. Per sognare profondamente bisogna sognare con della materia” (G. Bachelard) “T”come Texture. “T” come Trama. “T” come Tessitura. “T” come Terra. “T” come Tatto. “T” come Tensione di superficie. “T” come:: relazione le une con le altre; tutti gli enti vogliono incontrarsi. Tutte le cose, anche le più banali, vogliono essere ri-conosciute, ri-unite e ri-create per non essere disperse. E allora la Materia, che “sente” la presenza del creatore, che percepisce l’artista, o lo sciamano (E. Morin, Sull’Estetica), lo richiama a sé il creatore, lo attrae, con metodi apparentemente difficili da capire e da razionalizzare, lo avvicina con serendipità, con sinestesie, con improvvise apofenie e con facoltà empatiche, aprendogli Le porte della percezione (W. Blake) che consentono di superare la “tensione superficiale”. A questo punto, superata spinozianamente la distinzione cartesiana tra Res, nascono le misteriose topologie emotive, la spontanea cartografia epidermica, le mappe tattili, la geografia mnestica handmade e, in sintesi, tutto il tessuto narrativo che caratterizza l’importante opera artistica di Stefano Catalini collocandola su un registro linguistico di elevato livello. Le opere in mostra rappresentano punti nello spazio di un “atlante empatico” autobiografico che le odierne neuroscienze non avrebbero difficoltà a supportare o addrittura a prendere come esempio per dimostrare i risultati del Brain imaging. Brevemente, perché in tal sede non è possibile illustrare tutte le corrispondenze tra l’arte materica-informale e le neuroscienze (compito della neuroestetica), vorrei citare alcuni argomenti chiave che se sviluppati possono far ben intendere lo straordinario rapporto che intercorre tra l’uomo, il suo ambiente e l’arte: i neuroni specchio (Rizzolatti, 1995), l’embodied simulation (Mallgrave, 2016), l’intelligenza emotiva (Goleman, 1999), gli schemi top-down e bottom-up del cervello (Pankseep, 2012); l’importanza fondamentale del senso del tatto e della pelle (Montagu, 1971; McLuhan, 1962); l’incredibile selettività e specializzazione delle cellule neuronali (Zeki, 1999). Le cosiddette neuroscienze sono molto interessate all’arte perché riconoscono in essa e ad essa, fin dalle origini preistoriche, maggiori potenzialità di simulare l’invarianza del mondo esperito quotidianamente rispetto ad altre euristiche consolidate e, di conseguenza, le migliori possibilità di offrire all’uomo modalità-strutture di adattamento e di evoluzione portabili, reticolari ed ecosostenibili. Da ciò se ne deve dedurre senza indugio che le arti, e in particolare le arti che sviluppano la cultura maker-laboratoriale, devono tornare al centro dell’educazione e della formazione delle nuove generazioni che rischiano di essere deviate da forme di neotribalizzazione esclusivamente virtuali.



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